sabato 29 febbraio 2020

In coma - un racconto.

Disegno dell'autrice

Una delle paure più grandi dell’essere umano è probabilmente quella di cadere un giorno in coma. Perché si ha paura di ciò? Beh, di sicuro la ragione principale è quella del non sapere se è possibile risvegliarsi.
Io sono Katsumi Kimura e vi posso assicurare che quello non dovrebbe essere il motivo più grande per cui avere paura di cadere in coma.
Come faccio io a saperlo? Ebbene io sono stato in coma per ben dieci anni.
Tutto successe esattamente un anno fa. Ero un semplice quindicenne studente giapponese come tutti i miei coetanei, anche se mi distinguevo particolarmente per la mia bravura a scuola.
Mentre gli altri miei compagni di scuola pensavano a dormire durante le lezioni, al divertimento e alle ragazze, io pensavo allo studio e all’apparire sull’elenco degli studenti più bravi dell’istituto. 
Un giorno, però, i miei piani furono rovinati da qualcosa di orribile. 
Era il 16 aprile 2008, il giorno prima dell’esame finale che mi avrebbe permesso di raggiungere il mio obiettivo.
Ero completamente preso dall’idea di risultare non il secondo, non il terzo, ma a tutti i costi il primo. Tutto ciò mi portò un grande stress che mi fece venire la splendida idea di prendere un po’ di calmanti, la dose era decisamente pericolosa e troppa, ma io pensavo che fosse quello che ci voleva in un momento del genere. Mi sbagliavo. Cominciai ad avere la nausea e vedere tutto nero, pochi minuti dopo mi trovai per terra, in coma.
L’unica cosa che mi ricordo dopo essere caduto è la sensazione di leggerezza del mio corpo, come se stessi volando, ma quella fu interrotta da una sensazione di soffocamento della durata di dieci secondi. 
Di scatto aprii gli occhi e ciò che vidi fu incredibile. Mi trovavo in uno spazio chiuso dalle forme strane e dai colori caldi. Niente aveva senso lì, ero intrappolato e tutto ciò mi faceva impazzire, così ebbi un forte attacco di panico e rabbia. 
Tutto ciò non ha senso!, continuai a ripetere lasciandomi prendere dal panico.
Non capivo dove mi trovassi, ero intrappolato. Mi trovavo in un mondo parallelo, morto. L’unica cosa che mi restò da fare fu meditare. Meditando sviluppai molte potenzialità, per esempio viaggiare, viaggiai mentalmente in diversi mondi paralleli.
Ogni mondo si trovava all’interno del suo “observable universe”, di conseguenza anche il nostro.
Ogni mondo aveva leggi fisiche diverse.
Utilizzando questa tecnica decisi di trovare il nostro Observable universe  in cui si trova appunto il nostro pianeta Terra.
Non so quanto tempo ci misi, dato che nel posto in cui mi trovavo il tempo non esisteva, poi sì!, finalmente lo trovai! Dopo averlo ritrovato sentii di nuovo la sensazione di leggerezza, stavo sicuramente tornando a casa, nel mio corpo, nel mio mondo.
Ad un certo punto sentii il cuore battere e addirittura il sangue scorrere nelle vene. In quel momento mi accorsi di avere gli occhi completamente chiusi e aprendoli vidi l’infermiera che mi guardò con spavento e stupore, e lì capii di trovarmi in un ospedale. 

Finalmente ce l’avevo fatta, ero riuscito a tornare a casa.

Aida Osmanova, 3F

giovedì 13 febbraio 2020

WOP WithOut Passport - spettacolo teatrale

Oriana Fiumicino nel ruolo di Maria Petrucci
Il giorno 13 gennaio 2020 le classi terze medie dell’Istituto Giovanni Falcone hanno assistito allo spettacolo teatrale sull’emigrazione italiana in America, scritto e recitato dalla prof.ssa Oriana Fiumicino e raccontato in tre modi diversi: la recitazione, la musica ed il disegno con la sabbia. 

La storia è scritta sotto forma di lettera alla mamma da parte di una donna del sud Italia che, insieme al marito, deve affrontare un lungo viaggio per arrivare in America e cercare fortuna, viaggio che si rivelerà però molto fuori dalle aspettative.
Il viaggio, realmente accaduto, comincia quando la protagonista del monologo, Maria Petrucci, raccogliendo i soldi generosamente donati da tutto il paese, compra il biglietto per lei ed il marito e, partendo con il treno, arriva al porto di Napoli per imbarcarsi.
Si prova molta tenerezza nel vedere l’ingenuità di questa donna, che non aveva mai visto il mare, che non sapeva quanto rigida fosse la divisione tra classi sociali anche sulla nave, che non aveva gli strumenti per prevedere la durata del viaggio e conoscere concetti come l’Equatore. 
Arrivati in America, è dolce pensare come la prima cosa che videro fu la Statua della libertà, interpretata però come la Madonna con in mano il Vangelo e lo Spirito Santo.